“L’Italia e le Guerre balcaniche”: intervista a Fabio L. Grassi (Università “Sapienza” di Roma)

Intervista di Giuseppe Carteny pubblicata su Geopolitica.info


La recente traduzione in lingua turca del volume di Antonello Folco Biagini “L’Italia e le Guerre balcaniche” (ed. it. Nuova Cultura, 2012; ed. turca “İtalyan Raporlarında Balkan Savaşları 1912-1913″, İstanbul, Tarihçi Kitabevi, 2016) ci porta a riflettere sugli effetti di lungo periodo di questa pagina di storia e sull’importanza di una riflessione in merito per la comprensione delle dinamiche geopolitiche contemporanee. A tal fine Geopolitica.info ha intervistato Fabio L. Grassi, docente di Storia dell’Eurasia e Lingua turca all’Università “Sapienza” di Roma.


Quali sono i principali elementi di interesse del volume?
Il prof. Biagini è stato per decenni Ordinario di Storia dell’Europa Orientale e per fortuna è tuttora una presenza di grande rilievo nella nostra Università come Presidente della Fondazione Sapienza e Prorettore delegato agli Affari Generali. Una caratteristica saliente del suo contributo culturale è che egli ha colto l’importanza delle fonti militari e se ne è giovato copiosamente. Le relazioni degli addetti militari e degli agenti in missione certamente erano condizionati da fattori esterni e da motivazioni personali, come è umano che sia, ma mediamente un po’ meno che gli analoghi testi dei funzionari civili, anche perché i militari osservavano di solito più direttamente le situazioni. Anch’io in alcune mie ricerche ho avuto modo di constatare che spesso e volentieri i “ritratti” più vividi e realistici di un momento storico stanno nelle fonti militari. A ciò si uniscono, nel libro di Biagini, un’acuta visione d’insieme e profonde amare considerazioni sulla distruzione di secolari convivenze. Sono molto contento che quest’opera sia stata tradotta in turco: per gli storici turchi sarà una fonte preziosa e per i lettori turchi l’occasione di riflettere su alcune vicende sulla base di un approccio equilibrato e onesto.

I Balcani a partire dalla metà del XIX sono stati una delle aree più calde del continente, nonché un territorio in cui l’etno-nazionalismo ha rappresentato, ancor più che altrove, il fondamento di molte scelte politiche e strategiche. Le Guerre Balcaniche hanno contribuito a rafforzare queste tendenze?

Certamente. Le Guerre Balcaniche sono la parola fine su ogni ipotesi di riorganizzazione solidale dell’Impero Ottomano e le loro conseguenze sono profonde. E’ incredibile quanto poco esse vengano messe in relazione con la pulizia etnica subita dagli armeni due anni dopo. Eppure il legame è fortissimo. Per i leader nazionalisti armeni le Guerre Balcaniche erano il modello di ciò che una buona volta andava fatto (creazione di uno Stato nazionale con drastica riduzione  della popolazione musulmana) e per i leader nazionalisti turchi erano il modello di ciò che bisognava impedire a tutti i costi (e qui davvero non è un’espressione-cliché).

Quanto è cambiata la percezione odierna da parte dell’Italia delle dinamiche politiche dei Balcani rispetto alle descrizioni presenti all’interno del volume del prof. Biagini?
Penso che ci sia oggi minore attenzione, a causa del fatto che ci sono ora tanti altri luoghi del mondo che il cittadino italiano medio ritiene in qualche modo meritevoli del suo interesse. In altre parole, oggi temiamo che da qualche parte in Europa compia un attentato un militante islamista di origini mediorientali o magrebine, non un militante nazionalista balcanico. Credo che questo calo d’attenzione, per il moltiplicarsi di altre urgenze, sia riscontrabile anche a livello di istituzioni. I Balcani non hanno né oro né petrolio né diamanti… Naturalmente lo dico con dispiacere, perché i Balcani continuano ad essere un laboratorio di estremo interesse.

I Balcani sono stati anche un terreno di scontro etnico e religioso. Oggi, con l’avvento del sedicente “Stato Islamico” e la crisi dei migranti, la regione è stata investita da questo fattore di tensione. Si tratta di un fenomeno nuovo o se ne trova traccia anche nel volume?
Dal volume emerge bene che quello religioso continuava all’epoca ad essere il discrimine determinante. E non ha mai cessato del tutto di esserlo. Basti pensare alla definizione dei musulmani come “nazione” nella Jugoslavia titina. Era nient’altro che una nuova applicazione del sistema delle millet (nazioni, ma in realtà comunità religiose non musulmane) dell’Impero Ottomano. Oggi abbiamo uno Stato come il Kosovo sul quale si addensano molti sospetti di essere una comoda base per militanti e guerrieri islamisti. Gli Stati della regione inoltre si sentono un avamposto rispetto a uno dei percorsi più importanti del crescente fenomeno migratorio. Potrebbero crescer le tentazioni xenofobe e identitarie. Ma è anche una regione che, Grecia a parte, vede migliorare le condizioni economiche. Decisamente, i Balcani non stanno mai fermi.